domenica 12 aprile 2009

Crescita, Crisi e ... Contadinità


Aggiungere, a piacere, un pizzico di Comunismo e di Capitalismo


Una volta, quando la miseria era tanta, dare del "contadino" a qualcuno, in Toscana, era una grave offesa. Oggi tutti, in quelle contrade, accettano l'epiteto come un complimento.

La prosperità, talvolta, ha effetti collaterali eccellenti.

Secondo Francesca Colombini Cinelli, di antica famiglia Montalcinese e "signora del Brunello", la "contadinità" è una qualità della persona (di cui si "deve" andare orgogliosi) che la spinge a dare valore e "rispetto" a certi aspetti della vita che oggi, imbevuti come siamo di efficienza, rapidità, industria, metropolismo, ... trascuriamo o consideriamo addirittura deteriori.

Stiamo parlando dei ritmi e dei tempi della natura, dell'onestà (intellettuale e non), del rispetto degli altri (soprattutto dei più deboli), della "parsimonia" (no! non dell'avarizia), del rifuggire lo spreco, della solidarietà. I mezzadri di cinquant'anni fa non sarebbero sopravvissuti alla miseria feroce di quei tempi se non avessero avute "radicate" quelle qualità.

"Com'è bella la città ... com'è grande la città" cantava con sarcastico rimpianto Gaber. "Piena di luci e di colori e di vetrine e di scale mobili. Con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce ...".

Beh! noi ci sentiamo contadini-dentro e ne andiamo orgogliosi.

Oggi, soprattutto, che ci arriva sul groppone questa crisi economica.
Viene dall'estero, ci dicono. Non dipende da noi. Mah!? ... C'è ancora un "estero"?

Una vita passata in IBM, con obiettivi che - ogni anno - dovevano crescere a "due digit", tante volte ci aveva spinto a pensare: "... ma perché non possiamo frenare questa crescita frenetica? Non potremmo fermarci e goderci un po' questo stato di benessere?".

Lo stipendio era buono ... ma perché per metterci in tasca gli stessi soldi dell'anno precedente dovevamo sempre vendere il venti percento in più?. (Prendete nota. Ritroveremo questa frase poi).
Saranno stati gli studi da ingegnere (e non da economista) o la connaturata ... "contadinità" ... ma noi quella "necessità di crescere sempre" non eravamo mai riusciti a digerirla. Però non c'era tempo per fermarsi ad analizzare il problema. Dovevamo correre e produrre per quella crescita a due digit.

"Execute" era il motto. Erano finiti i tempi del "Think" che campeggiava sul retro della targhetta col nome, sulle scrivanie dei nostri manager al momento della nostra assunzione.

Poi nostro figlio ha voluto laurearsi in economia e commercio. ... Ecco! quello era il momento per approfondire il tema e riuscire finalmente a capire "perché" non crescere doveva equivalere a morire.

Ci abbiamo provato con impegno: abbiamo studiato Keynes e i post-keynesiani, la Robinson, Ciccone, Vianello, Kalecki e Lavoie. ... Con poco profitto, evidentemente!

Abbiamo solo capito che, per tutti, la crescita era una "necessità" e che l'unica cosa che differenziava una teoria dalle altre era "a spese di chi". Alcuni cercavano di dimostrare che l'unico modo per crescere era tramite la riduzione dei salari dei lavoratori e l'aumento del tasso di profitto - da reinvestire, ovviamente -, altri - Kalecki, nel caso, e pochi altri - cercavano di dimostrare che si poteva crescere anche aumentando i salari e che quella crescita era più stabile e sicura dell'altra. Anche se, forse, meno rapida.

Beh! dai testi sacri non abbiamo però capito "perché". Per averne una vaga idea abbiamo dovuto ricorrere - come spesso ci è successo - al nostro pochi, poveri, esauriti, neuroni.

Allora ... dicevamo ... lo stipendio - in IBM - era buono ... ma perché per metterci in tasca gli stessi soldi dell'anno precedente dovevamo vendere il venti percento in più?

Il mercato "tirava" e riuscivamo a farlo. Sempre con un po' più di sforzo, ma riuscivamo a farlo!

Qui forse era la spiegazione dell'arcano: "il mercato tirava".
Che sarebbe successo se noi non fossimo riusciti a crescere "almeno tanto quanto il mercato tirava"? Probabilmente "qualcun altro" sarebbe cresciuto più di noi, per compensare la nostra incapacità di soddisfare le richieste del mercato e, come si dice, avremmo "perso share". Avremmo perso importanza e la capacità, allora enorme per IBM, di dominare e influenzare il mercato.

Una spiegazione un po' ... da contadini, lo ammettiamo. Però almeno in parte ci convince. Ma torniamo al mercato "globale" di oggi e alla nostra crisi economica.
Tagliando i concetti con l'accetta, il mercato appare un po' come un sistema di vasi più o meno comunicanti in cui i beni richiesti vengono acquisiti da chi è in grado di produrli nel modo "più appetibile" (per costo, qualità, rapporto prezzo-qualità, aderenza alla moda, ecc.). Se la richiesta del mercato cresce (e cresce! Quanto meno perché cresce il numero di umani-consumatori, ma molto meglio - e qui siamo d'accordo con Kalecki - se cresce "anche" perché cresce la capacità di spesa degli stessi umani-consumatori) è "necessario", pena l'estinzione, crescere almeno quanto il mercato (di più: si guadagna share; di meno: si perde).

Tanto per fare un esempio: con l'avvento dei PC negli anni '80 il mercato dell'informatica si è messo a "correre" ad una velocità che IBM non è riuscita a mantenere. Ogni anno, in IBM, si brindava alla crescita del 25% ... con un mercato che cresceva del 50-70%. Lo share, in pochi anni, è crollato in maniera paurosa.

Vabbeh! direte voi, ma questa crisi allora da dove arriva? ... se tutto cresce! ...

Proviamo così: ... Nel mondo ci sono individui poveri e individui ricchi, paesi poveri e paesi ricchi. Il "mercato" con i suoi modelli a vasi più o meno comunicanti (ci sono sempre le politiche protezionistiche, i dazi, i nazionalismi, ecc.) tende a rendere più appetibili (almeno per il costo) i prodotti dei paesi più poveri e - malgrado i protezionismi - alla lunga tende ad equilibrare anche la ricchezza dei vari popoli. Questo è l'aspetto positivo della "globalizzazione". Positivo per i paesi più poveri, s'intende!

Ai paesi più ricchi resta la scelta: o cavalcare la tigre della globalizzazione, approfittando dei vantaggi (nuovi mercati e nuovi consumatori, ma con una perdita di share e di importanza) o ... decidere - finché si è i più forti - di "schiacciare" (annientare?) il più debole con mezzi più o meno condivisibili.

La crisi, secondo noi, non viene dal mercato ma da "questo modello" di mercato. Se il comunismo ha fallito il suo obiettivo di garantire crescita e benessere di un paese, certo oggi - a guerra fredda conclusa - il modello capitalista (almeno quello del "mercato che si controlla da solo") non sta facendo una gran bella figura!

Il mercato ha dimostrato ampiamente (le ultime "dimostrazioni" sono proprio di questi giorni), a nostro avviso, di non sapersi controllare da solo neanche un po'. La finanza a-ruota-libera, le "matriosche aziendali", le "piramidi", i paradisi fiscali, le bolle speculative, le vere-e-proprie-truffe ai danni dei risparmiatori, stanno rivelandosi sempre più frequenti e gravi. Come durante la peste manzoniana ... ogni tanto - sempre più spesso - scoppia qualche bubbone purulento e chi ne fa le spese è, quasi sempre, il cittadino onesto, lavoratore, risparmiatore.

Ma attento, o popolo di "furbetti"! La storia non ha memoria di "vittorie durature" ai danni dei ... contadini-dentro!

P.S. Chiediamo umilmente perdono a tutti coloro che, esperti di economia, mercato, crescita, recessione, ecc. ecc. sicuramente considereranno una banalità e un "accrocco" questo schizzo-in-due-minuti della realtà attuale. Siamo coscienti dei limiti di questa rapida analisi ... ma a noi è bastata per "capire" l'essenza. Il resto, a nostro modesto avviso, sono ... quisquiglie ... pinzillacchere (Totò).

Questo vuole essere solo uno spunto di riflessione, ovviamente. Su come si esce dalla crisi - e se ne uscirà, state certi - potete trovare qualcosa negli altri articoli di questa newsletter, che abbiamo scritto ... prendendo, a nostra volta, spunto dalle considerazioni di esperti più qualificati di noi.


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